Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Comellini (Sindacato dei Militari): colmare vuoto nella giurisdizione militare
Nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne il Sindacato dei Militari chiede l’urgente modifica del codice penale militare di pace (cpmp) con l’inserimento delle fattispecie di reato di violenza e molestia sessuale in danno di donne militari. Riteniamo già anacronistico continuare ad avere una giustizia distinta per i lavoratori militari e il resto dei cittadini, ma quando si tratta di reati che non sono neanche previsti nel cpmp, perché nel 1941 non esistevano donne soldato, si ha la misura di quanto la riforma del sistema giudiziario militare sia necessaria e urgente.
Il mondo militare è già sufficientemente maschilista e discriminatorio nei confronti delle donne e, forse, lo è anche perché il loro arruolamento non è mai stato davvero voluto da nessun generale ma, invero, è stato tollerato come un male necessario, una imposizione del legislatore. “Tu sei donna in un ambiente per soli uomini”. È questo messaggio implicito che viene costantemente trasmesso e recepito a tutti i livelli, nonostante i vertici militari e i ministri di turno continuino a fare proclami in favore delle donne soldato. Quelle stesse donne a cui non è mai stato permesso di integrarsi realmente nella compagine militare ma che fin dai primi arruolamenti hanno ben dimostrato di saper essere una parte integrante e insostituibile delle Forze armate.
Se è vero che le violenze sulle donne militari sono una drammatica realtà è anche vero che la mancanza di adeguate norme nel Codice penale militare di pace è il tremendo ostacolo da rimuovere con urgenza affinché alla giustizia militare sia consentito di perseguire concretamente gli autori di reati a sfondo sessuale, di stalking o, più semplicemente, di discriminazioni a danno della lavoratrice con le stellette. Eliminare questi ostacoli è una precisa responsabilità del legislatore, lo stesso che domani salirà sul palco per fare proclami ma che fin dal 1999 s’è dimostrato incapace di colmare tale vuoto.
Le forme della violenza e della discriminazione contro le donne nelle Forze armate, amministrazione caratterizzata da una ferrea gerarchia e da un uso della disciplina che non ha uguali, possono essere le più insidiose e subdole, come ad esempio lo sono quelle regole inserite ad arte nei bandi di concorso interni l’avanzamento di grado che impongono alle concorrenti di sottoporsi al test di gravidanza. Una regola inaccettabile, una discriminazione, una violenza che obbliga le donne soldato a scegliere tra l’essere madri o la carriera militare che neanche l’ex Ministra della difesa, la grillina Elisabetta Trenta, è stata capace di rimuovere. Ciò però non ci stupisce se consideriamo che ancora oggi, in alcune Forze armate, sintomaticamente, non esistono modelli burocratici in cui si prevede che il lavoratore sia donna. Al massimo può essere moglie.
Parlando di violenza contro le donne non possiamo non ricordare la situazione delle lavoratrici del Corpo forestale dello Stato, militarizzate coattivamente, costrette dal ricatto occupazionale in un mondo in cui la loro professionalità è improvvisamente passata in secondo piano rispetto alla fattezza dello chignon.
È quindi inutile celebrare la ricorrenza o festeggiare i 20 anni trascorsi dall’ingresso della prima donna nelle forze armate quando, queste, sono quotidianamente vessate solo perché tali o quando subiscono violenza all’interno di una caserma, a bordo di una nave o in una qualsiasi struttura militare.
Da 20 anni le donne soldato si ritrovano quasi sempre ad essere isolate e da vittime abbandonate a sé stesse in un mondo, quello militare, che ancora fatica a riconoscerne i diritti e la pari dignità.