Ministra Trenta lo sa che il personale della Marina Militare impiegato in navigazioni di breve durata è sottopagato?

Ministro Trenta, così attenta ai problemi dell’umano mondo militare, lo sa quanto vale un giorno di lavoro di un marinaio in navigazione? E come viene quantificata l’eccedenza oraria durante la navigazione rispetto alla normale giornata lavorativa?

Non lo sa? Bene, proviamo a spiegarglielo nella speranza che però poi lei intervenga sul serio e non a chiacchiere o con un selfie sparato su Facebook.

Premesso che la semplice lettura delle disposizioni interne emanate dalla Marina Militare sull’argomento poc’anzi citato ci lasciano sconcertati, non tanto perché risalenti nel tempo e quindi non più in linea con le altre normative di settore o di altre forze armate, ma anche e soprattutto perché, fino ad oggi, chi doveva e poteva dire la sua a tutela del personale ha preferito tacere (il Cocer che tanto piace alla Ministra).

Fatta questa doverosa premessa, riassumendo il contenuto delle circolari della forza armata possiamo affermare, senza timore di essere smentiti, che il personale che presta servizio a bordo delle unità navali, in regime di navigazione e in determinate condizioni, risulta penalizzato rispetto al personale che presta servizio a terra o al personale imbarcato che lavora oltre il normale orario d’ufficio con unità in porto.

Strano ma vero. La forza armata per quanto concerne le navigazioni brevi, ossia quelle di durata inferiore alle 48 ore, utilizza un modo alquanto singolare per conteggiare le eccedenze lavorative dei militari in navigazione, rispetto a quelle del resto del personale. Infatti, un marinaio imbarcato sulle unità navali di superficie per 24 ore al termine dell’ordinario orario di lavoro percepisce un compenso per le ore eccedenti effettivamente lavorate (c.d. lavoro straordinario) che, dal lunedì al giovedì, è il corrispettivo al massimo di 4h e 30’ (se è imbarcato sui sommergibili 8h e 30’). In poche parole le restanti 12 ore (8 sui sottomarini) di presenza a bordo non sono riconosciute come orario straordinario. Eppure il nostro marinaio non è che può andarsene a casa dalla sua famiglia e a bordo di una nave che è impegnata in una esercitazione parlare di riposo è assai difficile.

Il problema per quanto riguarda i giorni di venerdì, sabato, domenica e festivi è lo stesso, anche se le ore di straordinario pagate sono rispettivamente 8, 10 e 12 (12, 14 e 16 per coloro che navigano nelle profondità dell’azzurro mar).

Questo singolare modo di calcolare il numero massimo di ore di straordinario da pagare al personale per un singolo giorno di navigazione parte da un principio che gli addetti ai lavori definiscono “complemento a 12”. Principio secondo cui il marinaio in navigazione può lavorare al massimo per 12 ore al giorno perché il resto è tutta vacanza. Insomma, sulle navi della Marina Militare sembra che il personale imbarcato si faccia anche una bella crociera.

Ora, ironia a parte, tale sistema di computo ci sembra notevolmente ingiusto e del tutto vessatorio. Innanzitutto, come abbiamo detto, durante una giornata di mare il marinaio è completamente assente dal mondo “civile”; è lontano dai suoi affetti, incapace di poter gestire i propri interessi privati e la famiglia ed è del tutto impossibilitato ad avere anche solo un minimo di svago o sano riposo. La nave è un ambiente operativo e la comodità (e talvolta anche la salubrità) delle condizioni di impiego e di vita non sono un requisito, neanche eventuale.

In pratica, durante una giornata in mare il marinaio appartiene esclusivamente alla Marina Militare ed è impiegabile ad ogni ora del giorno e della notte, senza alcun preavviso e riconoscergli le sole “massime” 12 ore di lavoro giornaliero equivale a svilirne la dignità di lavoratore, e in concreto minare alla radice la disponibilità, assoluta e incondizionata, che questo offre all’amministrazione senza soluzione di continuità, da quando si parte a quando si rientra in porto.

L’illogico ragionamento della Marina sembra trovare il suo miglior alleato nell’infondata pretesa di assumere consistente parte delle ore trascorse a bordo come ore di libertà, di svago. Come detto una sana crociera in cui il personale possa liberamente dedicarsi ad attività personali, rilassarsi e prendere la tintarella sul ponte di volo, sorseggiare un gustoso aperitivo  e godere di spettacolari tramonti. Una vacanza-lavoro che tutti vorrebbero fare.

Ma vi è di più, tutta l’irragionevolezza del criterio di calcolo adottato emerge laddove si considera che sono proprio le navigazioni brevi, mediamente orientate a finalità addestrative più che operative, quelle in cui i ritmi di lavoro sono più forzati. E la ragione è ben evidente: è in addestramento che si valuta la tenuta dell’equipaggio e della nave ai più ritmi serrati che possono presentarsi in attività operativa; ci si addestra a fronteggiare il peggio, e pertanto è proprio l’addestramento una delle fasi più intense della vita del marinaio. Gli eventi più ostici e stressanti, quelli che in attività operativa fortunatamente accadono di rado, in addestramento sono il pane quotidiano. Quindi, altroché vacanza!

Rispetto ai marinai che lavorano a bordo delle unità navali, in regime di breve navigazione, quelli che prestano il proprio servizio a terra o su unità ferme in banchina si vedono riconosciuta, sempre e integralmente, ogni prestazione eccedente l’orario lavorativo, la sera tornano a casa dalla propria famiglia, vivono in condizioni di salubrità e confort degli ambienti di lavoro che per il personale in navigazione sono semplicemente sconosciute. Senza contare il pericolo cui ovviamente è maggiormente esposto il personale di bordo in regime di navigazione, a partire dal rischio di incendio o allagamento e proseguendo con tutti quegli altri fattori di rischio, non solo strettamente attinenti alla mera mansione lavorativa espletata, ma specifici del contesto navale.

Quando il personale che non naviga (di terra o impiegato a bordo di unità ferme in banchina) incontra limitazioni nella gestione del proprio tempo libero (il caso più emblematico è l’impossibilità di allontanarsi oltre una certa distanza dal luogo di servizio) dovute alla reperibilità che in alcune circostanze è necessario garantire, si vede riconosciuta una particolare indennità (di reperibilità, appunto) di cui, inspiegabilmente, il personale in navigazione non gode.

Insomma, per la Marina Militare il personale imbarcato – quel ristretto numero di marinai che esprime il massimo dell’operatività della Forza Armata in condizioni che per la maggior parte delle persone “normali” sono del tutto proibitive – non solo non ha diritto a vedersi riconosciute integralmente le effettive ore di straordinario prestate, ma quando riposa a bordo della nave di fatto è reperibile senza alcun riconoscimento economico.

E né può sostenersi che l’indennità di imbarco, percepita ovviamente dal solo personale imbarcato, valga in qualche modo a sostituire eventuali compensi per la prestazione di lavoro straordinario. Infatti, non solo tale indennità è concepita esclusivamente allo scopo di gratificare il personale che presta normale attività lavorativa in contesti disagiati come quelli delle unità navali, ma tale indennità è percepita da tutto il personale imbarcato, a prescindere dal fatto che l’unità navale navighi effettivamente o sia ferma in banchina.

In definitiva, l’indennità di imbarco è corrisposta indifferentemente a tutto personale, a prescindere dal fatto che l’unità navale sulla quale è imbarcato navighi effettivamente o meno; è quindi del tutto inidonea remunerare prestazioni di lavoro eccedenti il normale orario lavorativo, rese in regime di navigazione.

E’ di tutta evidenza la convenienza per l’amministrazione di tale tipo di disciplina che, in pratica, consente di dislocare più unità (e quindi più persone) con costi sensibilmente più contenuti. E ciò vale sia in considerazione della corresponsione degli emolumenti relativi alle ore di straordinario prestate, sia in considerazione dell’eventualità che tali ore, invece che pagate, debbano essere corrisposte al personale sotto forma di recupero compensativo (ore o giorni di permesso).

Detto questo ci domandiamo e domandiamo ai vertici militari e al Ministro della difesa: ma è possibile e (qualora lo fosse) quanto è giustificabile assoggettare lavoratori tanto qualificati e già evidentemente “sacrificati” a tale tipo di trattamento?

Fino a che punto si può svilire non solo la gratificazione economica, ma principalmente lo stesso operato di lavoratori già fortemente penalizzati sia da condizioni di impiego proibitivo, sia da “fattori di rischio” propri della specificità dell’attività lavorativa?

Questa situazione, a nostro avviso, è ingiusta e frustrante per il personale imbarcato e il fatto che si prolunghi da ben oltre un decennio senza alcuna volontà di prendere coscienza delle condizioni di lavoro cui sono sottoposti i marinai non ci sembra più tollerabile mentre la forza armata continua ad affermare in ogni occasione che il personale costituisce la sua prima e più importante risorsa.

È una situazione che peggiora di anno in anno e che col progressivo invecchiamento della forza armata, corroborata da provvedimenti iniqui come il riordino delle carriere, ci spinge a chiedere con forza un intervento dei vertici della Marina Militare, in particolare al Capo di Stato Maggiore della forza armata e magari anche della Ministra Trenta (se non dovesse bastare non ci resta che sperare in quello di Santa Barbara): intervenite prima che sia troppo tardi perché è già tardi!

E’ già tardi. I diritti del personale militare sono stati già per troppo tempo sviliti e sacrificati, ignorati dalle rappresentanze militari (che oggi si propongono come novelli sindacalisti al servizio dei vertici militari). Lo scottante argomento di cui abbiamo scritto è stato il più delle volte volutamente ricondotto nell’ambito delle materie sottratte alle loro competenze; ignorati dai vertici per ragioni di mera contabilità. In entrambi i casi sono motivazioni che non possono costituire una valida causa per giustificare la decennale disattenzione.

Occorre una nuova disciplina del trattamento economico del personale militare in regime di navigazione inferiore alle 48 ore, che ponga fine a questa situazione frustrante e penalizzante proprio per quei marinai che lavorano di più e che risulti rispettosa della loro dignità e dei sacrifici che quotidianamente affrontano (insieme ai relativi familiari).

E’ ora di ripristinare i diritti e con essi la dignità dei marinai.

Luca Marco Comellini (Segretario Generale)
Vincenzo De Maio (Segretario Nazionale)

 

(fonte foto: Marina Militare www.marina.difesa.it)