Esercito, tatuaggi, Sindacato dei Militari: militari reparti d’élite paragonati a delinquenti? Capo di stato maggiore chieda scusa

I tatuaggi per moltissimi militari sono un segno distintivo e di appartenenza al reparto. Si pensi ad esempio ai ranger o ai paracadutisti della brigata Folgore o della brigata Sassari. Reparti d’élite dove il tatuaggio non è solo un simbolo di appartenenza ma è una tradizione, eppure lo stato maggiore dell’Esercito lo scorso 7 marzo ha avviato un nuovo censimento, paventando sanzioni disciplinari e citando “l’uomo delinquente” descritto nel 1876 da Cesare Lombroso.

È evidente che le menti eccellenti dello stato maggiore dell’Esercito che hanno dato il via a questa nuova battaglia contro i tatuaggi non hanno nulla di più importante e serio da fare altrimenti non avrebbero perso tempo e soldi dei contribuenti per obbligare il personale, uomini e donne della forza armata, di sottoporsi a un nuovo censimento per scovare eventuali tatuaggi presenti su qualsiasi parte dei loro corpi che siano incompatibili con quanto previsto dalla direttiva, cioè che abbiano contenuti osceni, con riferimenti sessuali, razzisti, di discriminazione religiosa o che comunque possano portare discredito alle Istituzioni della Repubblica Italiana ed alle Forze Armate.

Purtroppo anche in questa nuova crociata contro la più antica forma di espressione della personalità umana il vertice dell’Esercito non si fatto alcuno scrupolo nel citare, tra i riferimenti storici e sociali, anche il saggio “l’uomo delinquente” pubblicato nel 1876 da Cesare Lombroso avendo grande cura di precisare che l’autore “mette in stretta correlazione il tatuaggio e la degenerazione morale innata del delinquente: il segno tatuato è ritenuto fra quelle anomalie anatomiche in grado di far riconoscere il tipo antropologico del delinquente”. “Secondo il Lombroso – prosegue l’arguta disposizione dello Stato Maggiore dell’Esercito -, il delinquente nato mostra specifiche caratteristiche antropologiche che lo avvicinano agli animali e agli uomini primitivi e l’atto di tatuarsi di criminali recidivi è sintomo di una regressione allo stato primitivo e selvatico.”.

A prescindere dalla liceità o meno delle modalità con cui viene effettuato il censimento riteniamo che questa sia l’ennesima azione dei vertici dell’Esercito sintomatica di una pericolosa deriva antidemocratica d’altri tempi dalla quale riteniamo di dover prendere le opportune distanze.

Per questi motivi, nell’invitare gli uomini e le donne dell’Esercito a prendere le opportune distanze da simili atti di arroganza e quindi a restituire al mittente, senza compilarla, l’assurda dichiarazione sulla presenza di tatuaggi sul corpo, riteniamo anche di dover invitare il Capo di Stato maggiore dell’Esercito prima a prendere severi provvedimenti nei confronti dell’autore di tale assurda disposizione e poi a chiedere scusa agli uomini e alle donne della forza armata che sfoggiano con orgoglio sui loro corpi i tatuaggi come libertà di espressione, individualità, unicità o spirito di corpo e appartenenza al reparto nel quale servono con onore e fedeltà la nazione, perché, ancorché indirettamente, ha inteso paragonarli a “l’uomo delinquente” descritto da Cesare Lombroso.