Previdenza complementare, Comellini (Sindacato dei Militari): se lo Stato è inadempiente dopo 25 anni, delle due una. O si cambia lo Stato oppure si lotta sul serio disertando i tavoli contrattuali

Quando lo Stato è inadempiente per oltre 25 anni allora c’è un grosso problema da risolvere. Ci riferiamo alla questione della previdenza complementare che per i lavoratori del Comparto difesa e sicurezza si avvia a festeggiare i 25 anni di latitanza con la colpevole complicità dello Stato.

Nel riformare il sistema pensionistico il legislatore del 1995 (c.d. Legge Dini) ha previsto, come noto, un sistema di calcolo retributivo per i dipendenti con 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, un sistema misto (parte contributivo e parte retributivo) per i dipendenti con meno di 18 anni di contributi a quella data ed un sistema interamente contributivo per i dipendenti assunti dal 1° gennaio 1996.

Diversamente da quanto accaduto per il personale dipendente dalle Amministrazioni Pubbliche di cui all’art.1, comma 2°, del D.Lgs. n.165/2001, ossia per il pubblico impiego c.d. contrattualizzato, la previdenza complementare non ha però avuto il previsto avvio per personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia, ad ordinamento civile e militare. Per questa parte di pubblico impiego, l’istituzione delle forme pensionistiche complementari è stata demandata dalla Legge n.448/1998, prima e, poi, col D.Lgs. n.252/2005, poi, alle procedure di concertazione e di negoziazione di cui al D.Lgs. n.195/1995. Sicché il prescritto iter procedimentale di attivazione ancora non ha avuto utile avvio e, quindi e tanto meno, trovato conclusione.

Mentre il problema c’è, esiste e fa sentire concretamente i sui effetti perché non è mai arrivato sui tavoli decisionali deputati a dare applicazione alla c.d. riforma Dini – anzi molto probabilmente c’è pure finito ma è stato volutamente ignorato – una nutrita schiera di militari e poliziotti ha nuovamente deciso di imbarcarsi in un contenzioso partendo dal presupposto di una recente sentenza della Corte dei conti della Puglia, la n. 207 del 2020, che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno ad un militare ancora in servizio, che ha agito per far valere il pregiudizio che gli deriverà, al momento del pensionamento con il sistema c.d. misto, dalla perdurante mancata attivazione della previdenza complementare.

Non spetta certo a questa Organizzazione Sindacale valutare la bontà o meno dell’azione intrapresa dagli speranzosi che hanno deciso di cimentarsi nell’ennesima causa sull’argomento ma semmai, invece, riteniamo doveroso ricordare a tutti gli aspiranti ricorrenti i numerosi precedenti esiti fallimentari di quelle che al loro annuncio, ciclicamente, sono apparse come le soluzioni giurisprudenziali più valide e risolutive.

Con ciò non vogliamo dissuadere nessuno dal tentare una strada che appare ancora tutta in salita a causa dei veti incrociati dettati, per lo più, dal bilancio di uno Stato che preferisce, ormai da 25 anni (giova ripeterlo), ignorare il problema. Tuttavia riteniamo più opportuno, prudente e obiettivamente saggio, attendere l’esito del giudizio di appello sulla sentenza della Cdc della Puglia e pertanto invitiamo tutti i nostri iscritti e simpatizzanti a cautelarsi, nel frattempo, con una istanza interrutiva dei termini di prescrizione e dell’eventuale risarcimento del danno per la mancata attivazione della Previdenza complementare (istanza interrutiva per gli iscritti al Sindacato dei Militari ).

Sicuramente la previdenza complementare è l’argomento, fra i tanti, che maggiormente interessa il personale dei Comparti Sicurezza e difesa. Anzi, a dire il vero dovrebbe interessare chi oggi si appresta a tutelare i diritti economici dei lavoratori in uniforme. Quelli, tanto per capirci, buoni per ogni occasione (dallo spalare monnezza a tappare le buche nelle strade di Roma) e per l’appellativo di “eroi” ma che nei fatti spesso e volentieri ricevono calci in bocca dal legislatore di turno (a proposito di calci in bocca ci preme ricordare la proposta di legge sui diritti sindacali che l’attuale maggioranza M5S-PD si appresta ad approvare in prima lettura alla Camera. L’ennesimo calcio in bocca ai militari, generali esclusi).

Quando si tratta di diritti di natura economica che spettano al semplice cittadino lavoratore è sufficiente scorrere le cronache giudiziarie per trovare molteplici sentenze e decisioni come quella della Corte dei conti della Puglia. Vittorie momentanee che poi, ben presto, sono state seppellite dalle giurisdizioni superiori o da tempestivi interventi del legislatore, sempre attento agli equilibri di bilancio quando la cosa non lo tocca da vicino (come ad esempio il vitalizio).

Sul mancato avvio della previdenza complementare per il personale militare e delle Forze di polizia si potrebbero scrivere ancora molte pagine per distribuire equamente le colpe di questa inerzia ormai più che decennale. Imputare le responsabilità alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del personale della Polizia di Stato e al Cocer per quanto riguarda quello delle Forze armate, della Guardia di finanza e dell’Arma dei carabinieri, sarebbe fin troppo facile ma non è questo il punto in discussione.

Ma allora cosa fare? Riprendendo il titolo di questa breve riflessione, è oggettivamente difficile cambiare lo Stato quindi, semmai, appare più utile – e opportuno – lanciare una proposta di azione sindacale capace di ridare speranze e dignità ai cittadini in divisa (perché questo è lo scopo del Sindacato dei Militari in questo storico momento di difficile affermazione della lotta sindacale vera e propria tra il personale militare). La proposta ovviamente non riguarda le “associazioni tra militari a carattere sindacale” che hanno chiesto il permesso al datore di lavoro né quelle eterodirette dai generali tramite esponenti della Rappresentanza militare.

Riteniamo che dopo 25 anni sia doveroso, da parte di tutte le organizzazione sindacali, dare un segnale di vitalità e coerenza mettendo in atto quella protesta che avrebbero già dovuto compiere all’indomani dell’approvazione della legge 448/1998: disertare ogni possibile tavolo di contrattazione affinché lo Stato metta sul piatto (a disposizione dei Comparti Sicurezza e Difesa) tutte le risorse economiche necessarie all’attuazione della previdenza complementare. 

È questo l’invito che rivolgiamo a tutte le Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del Comparto sicurezza e difesa augurandoci una loro immediata azione.

Ci rendiamo conto che per alcuni la voglia di scattarsi qualche selfie con il ministro di turno può essere più forte della volontà (dovere) di garantire il soddisfacimento delle aspettative economiche e previdenziali del personale rappresentato ma siamo convinti che adesso sia arrivata l’ora della ragione.

Ora è il momento della lotta sincacale perché altrimenti, in caso contrario,tra cinque lustri saremo ancora qui a discutere della previdenza complementare “come dell’isola che non c’è”.